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Ad inventare il calcio, sono stati gli inglesi. I quali, all’inizio, si reputavano troppo superiori per giocare in un torneo contro le altre nazioni. Per vedere all’opera la nazionale inglese si doveva organizzare “Inghilterra-Resto del Mondo”, visto quanto fossero convinti i sudditi di Sua Maestà della loro superiorità. Poi però un giorno accettarono l’invito ad una partecipazione con le altre nazionali ed il risveglio dal sogno fu brusco: no, non erano loro i più bravi, pur avendo inventato loro stessi il calcio. Ed infatti, ad oggi, hanno vinto appena una Coppa del Mondo.
Nella pallacanestro la storia è un po’ diversa: il “basketball” fu inventato da un canadese, James Naismith, e nonostante questo sport si diffuse soprattutto in America, i canadesi non si sono mai sentiti superiori ai loro vicini. Infatti, contrariamente agli inglesi, tante volte avrebbero voluto essere invitati, ma stavolta erano gli americani a sentirsi superiori. Tanto che abbiamo dovuto aspettare il 2019 per salutare la prima vittoria NBA non americana: merito dei Toronto Raptors e della loro incredibile stagione.
Annata storica: che impresa per i Raptors!
La stagione 2018-19 dell’NBA è entrata e resterà negli annali. Come detto, mai prima d’ora una squadra non americana era riuscita ad imporsi nello spettacolare torneo in cui l’America si specchia: sport e show che diventano tutt’uno, cose fatte in grande, pubblico strabordante.
Nelle precedenti 72 edizioni, il titolo aveva sempre trovato casa negli Stati Uniti che, ovviamente, sono i veri padroni del campionato: i Raptors sono l’unica franchigia a non avere passaporto americano.
La storia dei Toronto Raptors
Interessante riprendere i frammenti di questa storia: i “Predatori” nascono nella stagione 1995-96, ovvero poco meno di 50 anni dopo un’altra squadra di Toronto, gli Huskies. Quest’ultimi giocarono una sola stagione nella BAA (campionato precursore dell’NBA) nel 1946-47 prima di sciogliersi definitivamente. Dovettero passare quasi cinque decenni perché l’NBA potesse nuovamente uscire dai confini americani, ed infatti oltre ai Raptors arrivarono pure i Vancouver Grizzlies, canadesi pure loro ma non per molto: nel 2001 si trasferirono a Memphis divenendo americani a tutti gli effetti, e lasciando i Raptors gli unici rappresentanti del Canada.
Già, perché Raptors? A metà anni ’90 imperversa “Jurassic Park”, il film di Steven Spielberg ed i fan, ai quali viene chiesto che nome dare alla nuova franchigia di Toronto, non hanno dubbi. Tutto molto bello, ma poi contano anche i risultati e questi all’inizio non arrivano: la prima stagione si chiude con 21 vittorie e 61 sconfitte e, per i primi quattro anni, Toronto non vedrà mai la fase dei play-off.
Dobbiamo aspettare il 1999-2000 perché accada la prima volta, ed il 2013-14, per far sì che ciò diventi una costante. Il 2016 è l’anno della finale di Conference persa contro Cleveland (4-2). Il migliore, prima di questa strepitosa stagione, che ha regalato il successo ai Toronto Raptors i quali sono riusciti a fare centro al termine del loro 24° anno di vita.
Trionfo afro-italiano oltre che americano
Restando ancorati alla cara geografia, dopo aver parlato di Stati Uniti e Canada, adesso è il momento di parlare delle altre bandiere che hanno messo il timbro su questa stagione, e sono quelle della Nigeria e dell’Italia. Senza fare un torto a tutti i giocatori protagonisti di questo titolo, Masai Ujiri e Sergio Scariolo oltre a Nick Nurse sono i nomi di spicco al di fuori dal campo.
Ujiri, nato in Inghilterra ma nigeriano di sangue, è il general manager che ha lavorato sodo (e bene) per mettere su un roster da prima fila. I suoi movimenti sul mercato sono stati impeccabili, non solo per quanto riguarda il capitolo Kahwi Leonard (ci arriviamo tra qualche riga), ma per tutta la squadra, componente per componente (come il caso di Danny Green, tanto per dirne uno). Suo il merito di aver messo il giusto materiale tecnico ed umano nelle mani di coach Nurse.
Tra i vari meriti, pure quello delle stesso Nurse, spostato in prima linea a guidare la squadra dopo cinque stagioni da vice. Scelta coraggiosa che ha pagato, con Nurse grandioso nell’individuare gli spiragli giusti per affrontare al meglio la stagione. La difesa è stata forse l’elemento chiave di questa cavalcata, senza nulla togliere alla vena offensiva di una squadra che, quando voleva, sapeva far male eccome, abbinando là davanti fisicità e velocità che in più di un’occasione hanno risolto la partita.
Nurse ha potuto contare sul supporto di Sergio Scariolo e sulla sua esperienza: dopo tante medaglie con la Spagna il bresciano ha raccolto la sfida più difficile, divenendo un appoggio solido ed un confronto diretto per Nurse, che in Scariolo ha trovato un punto fermo in tante decisioni.
Kawhi Leonard, la stella
Quando si racconterà del trionfo dei Toronto Raptors, non si potrà non parlare di Kawhi Leonard, l’uomo intorno al quale il sogno canadese ha preso forma e grazie al quale si è materializzato.
Quella di Leonard è una storia nella storia, un racconto di inscalfibile tenacia, un esempio di classe in campo, reticenza fuori e resilienza nella vita. Nessuno forse avrebbe voluto essere nei panni di Leonard dodici mesi fa, dopo la stagione più nera della carriera: una lunga serie di infortuni, con appena nove partite stagionali disputate, lui che non si sente fisicamente a posto, le dicerie sul suo non-rinnovo ed una fiducia da parte dell’ambiente di San Antonio che non sentiva più.
“Dov’è l’MVP delle Finals 2014?“, era la domanda ricorrente un anno fa, quando il talento di Kawhi sembrava offuscato. La risposta arriva adesso: il talento c’è sempre stato. L’anno scorso era semplicemente nascosto all’interno di un giocatore che ha bisogno di sentire fiducia, aspetto fondamentale per uno che parla poco fuori dal campo preferendo farlo con la palla tra le mani.
Il suo arrivo a Toronto è stato una scossa per tutto l’ambiente, convinto di aver messo le mani su un talento cristallino che è stato posto nelle condizioni giuste per esprimersi al meglio.
Cullato e coccolato dalla sua nuova casa, Leonard è stato il faro in più di un’occasione, senza inutili sensi di colpa quando a brillare sono stati altri al posto suo. La sua free agency adesso spaventa lo strepitoso pubblico della Scotiabank Arena, ma vorrà davvero Kawhi salutare chi ha saputo dargli così tanto affetto? Certo, uno dei tre uomini ad aver vinto l’MVP delle Finals con due squadre diverse (insieme a Kareem Abdul-Jabbar e Lebron James) e l’unico ad averlo fatto in due Conference diverse fa gola a molti, ma restare a Toronto potrebbe essere più una scelta di cuore.
Il futuro
Quando dopo anni di tentativi falliti Michael Schumacher riuscì a vincere il primo titolo con la Ferrari, il gran capo Jean Todt gli sussurrò all’orecchio: “Da oggi niente sarà più come prima“. Da adesso in poi non lo sarà più neanche per i Toronto Raptors, toltisi di dosso l’ansia del primo titolo.
Se è vero che vincere è difficile e che ripetersi lo è anche di più, è anche vero che vincere dà una nuova forza, una nuova consapevolezza nell’affrontare le nuove sfide. Un titolo in NBA è un qualcosa di eccezionale gratificazione, ma anche tremendamente dispendioso dati gli otto mesi pieni di competizione e dunque anche molto, molto difficile da raggiungere.
Sicuramente le ambizioni future dei Raptors passeranno dalla stabilità o meno della squadra, allenatore e giocatori insieme, con le sirene di altre grandi franchigie che possono cercare di strappare a Toronto i suoi migliori elementi. Vedremo cosa accadrà, perché da ottobre in poi questo fantastico titolo farà parte del passato, con presente e futuro che saranno tutti da scrivere.
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