Niente da fare, anche l’edizione 2025 dell’All Star Game è stata deludente. Appare quantomeno strano che la NBA, da sempre maestra nel valorizzare il proprio prodotto, non riesca a rilanciare quello che fino a qualche anno era fa l’appuntamento più atteso dagli appassionati di basket, non solo americani ma di tutto il mondo.

Come sono lontani i tempi nei quali le due squadre erano divise tra Est ed Ovest e si affrontavano dando spettacolo, sia pure, come ampiamente scontato, senza dannarsi troppo l’anima in difesa. Erano i tempi in cui una squadra indossava la canotta scura e l’altra chiara, senza quei colori sgargianti, anche troppo, che hanno caratterizzato l’All Star Game degli ultimi anni.

Una partita nella quale i giocatori scendevano in campo per mettersi in evidenza e, se possibile, vincere, tanto che, com’è come non è, spesso gli ultimi quarti venivano giocati con intensità da playoff, soprattutto se il risultato era ancora in bilico. Quella stessa partita che ha regalato momenti passati alla storia del nostro amato sport, come l’uno contro uno tra Michael Jordan e Magic Johnson all’All Star Game 1992, quello nel quale Magic, già sieropositivo, vinse il titolo di MVP, grazie ai suoi 25 punti ed ai 9 assist.

Momento di basket sopraffino che tutti gli “anta” ricordano. Chi invece ricorderà questa edizione dell’All Star Game non tra un anno, ma tra pochi giorni? Probabilmente nessuno, perché anche l’edizione 2025 si è confermata più una passerella per sponsor e pubblicità che un evento di basket, come dicono i dati che parlano addirittura di oltre un’ora di spot pubblicitari, un’ora e 13 minuti per la precisione. Di fatto, il rapporto tra basket giocato e eventi vari è di 1 a 6, con 27’ di basket giocato e 3 ore e 3 minuti di spot, show e commenti.

A poco è servito anche il cambio di format, con le stelle suddivise in tre squadre, assieme alla vincente del Rising Stars Game, la sfida tra le squadre composta dai giocatori ai primi due anni nella Lega, che diventa la quarta semifinalista. A guidare le formazioni, vecchie star della Lega, come Charles Barkley, Kenny Smith e Shaquille O’Neal.

Proprio Barkley guida il Team Global Stars, composto da tutti giocatori internazionali, alla vittoria – il regolamento prevede il successo per chi arriva primo ai 40 punti – nella prima semifinale. Nell’altra la squadra di O’Neal supera i Rising Stars, forse la formazione che più prova a giocarsela provando anche ad alzare l’intensità difensiva. Alla fine, però, ad avere la meglio sono gli OG, i veterani, allenati da Shaq che poi vinceranno anche la finale, nella sfida tra ex giocatori “pesi massimi” come Shaq e Sir Charles.

Alla fine, il punteggio recita 41-32 per la compagine di Shaq che taglia il traguardo dei 40 punti con una tripla di Lillard. Il migliore in campo, nella sua San Francisco, è l’idolo di casa, il più grande tiratore probabilmente mai apparso sulla faccia della terra, sua maestà Steph Curry, al quale viene consegnato il premio come MVP della kermesse, il secondo dopo quello conquistato nel 2022.

In definitiva, sprazzi di buon basket, ma dispersi in una marea di spot, da far perdere il filo logico di incontri non certo affascinanti, con qualche raro sprazzo di emozione nello Slam Dunk Contest, la gara delle schiacciate, portata a casa per la terza volta consecutiva da McClung, player degli Osceola Magic, squadra controllata dagli Orlando Magic, che entra così di diritto, lui che nella NBA ha fatto solo qualche comparsata, come il primo giocatore a vincere la gara delle schiacciate per tre anni di fila.

La gara del tiro da tre punti è stata invece portata a casa dalla guardia di Miami Tyler Herro. Il talento degli Heat ha impedito al doppio campione in carica, Damian Lillard dei Milwaukee Bucks, di ottenere la tripletta consecutiva come in precedenza avevano fatto solo Larry Bird (1986, 87, 88) e Craig Hodges (1990, 91, 92). Nella finale, il portacolori degli Heat ha battuto Hield e Garland; una finale in tono minore, nella quale sono bastati 24 punti a Hierro per conquistare il trofeo.

Conclusioni? Tanti lustrini e paillettes, tanti eventi, troppi spot e poco basket, non certo il modo migliore per rilanciare un appuntamento che, fino a pochi anni fa, gli appassionati aspettavano con ansia ed ormai diventato un vero e proprio show con il basket solo come contorno.

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